Oliviero Toscani all'Anglicana

Comune di Alassio
Assessorati alla Cultura e al Turismo
Ex Chiesa Anglicana di Alassio

PRESENTANO

CAROL RAMA
"Appassionata"

da domenica 8 agosto a domenica 12 settembre 2010

SimpleViewer requires JavaScript and the Flash Player. Get Flash.

La mostra di Carol Rama è un evento di punta nella programmazione dell'Ex Chiesa Anglicana, poichè presenta l'antologica di un’artista singolare, di un talento che viene da lontano e che nell'ultimo decennio ha conosciuto una fortuna internazionale, fatta di mostre personali in Italia, negli Stati Uniti e in Europa.
Nata a Torino nel 1918 Olga Carol Rama attraversa un secolo complesso e traumatico come il Novecento usando l'arte, per sua stessa ammissione, come un atto di “guarigione” e come lo specchio di un'avventura, tutta personale, tempestata di gioie e di privilegi, ma anche di tragedie familiari ed arricchita
dall'amicizia di importanti intellettuali italiani: primo fra tutti il poeta Edoardo Sanguineti, ma anche Giorgio Manganelli (che introdurrà diverse sue mostre) Felice Casorati (organizzatore della prima personale di Rama alla Galleria del Bosco nel 1947), il poeta Albino Galvano, l'architetto e pittore Corrado Levi, il musicologo Massimo Mila, l'architetto Carlo Mollino, per finire con colleghi illustri come Man Ray e incontri importanti come quello con Andy Warhol.
L'arte di Carol Rama è autobiografica, scandalosa, rigorosa e sperimentale in modo naturale. Usando personaggi e oggetti del proprio mondo, costruisce nei decenni serie di disegni e di assemblaggi che catturano per la forza magnetica, l'avanguardismo e una intrinseca grazia grottesca, rilevata dai suoi più importanti estimatori, tra i quali si annovera Achille Bonito Oliva, che nel 1993 invita l'artista ad esporre nella sezione Aperto della Biennale di Venezia.
Dieci anni dopo, nell'edizione guidata da Francesco Bonami, Carol Rama riceverà il premio più ambito di sempre: il Leone d'Oro alla Carriera della 50esima Biennale di Venezia.
Dalla sua casa storica nel centro di Torino, una soffitta dove vive e lavora da sempre, Carol torna a trasformare in visioni le proprie emozioni.
Il mondo la celebra, ma poco cambia in questa figura d'artista d'altri tempi che conferma la sua poca sensibilità per il successo e dimostra una vera “passione” per l'arte.
Dopo aver ritratto in acquerelli bislacchi e infantili le protesi della zia livornese o le visioni dell'ospedale psichiatrico dove la madre verrà ricoverata dopo la morte del padre, Carol Rama sente il bisogno di uscire dai confini dell'autobiografia ed entra a far parte del gruppo del MAC torinese, il Movimento Arte Concreta co-fondato da Gillo Dorfles (altro caro amico), elaborando un personale concetto di astrazione che la porta a distinguersi ancora una volta.
A partire dagli anni '60 la ricerca svolta verso l'introduzione di oggetti cari all'artista su opere su carta e su tela: sono occhi di ceramica, pelli d'animali, unghie. Sono i Bricolages, come li battezza il suo più amato amico ed esegeta, Edoardo Sanguineti, che spesso usa le proprie poesie per “tradurre” il lavoro di Rama in linguaggio.
Negli anni '70 Rama viaggia a Parigi e New York con il suo gallerista Anselmino, conoscendo molti artisti, tra cui Andy Warhol. La sua arte svolta ancora ed ha inizio il periodo delle camere d'aria di bicicletta che le ricordano la fabbrica di biciclette di quando il padre era un imprenditore di successo.
Nel 1980, l'artista incontra Lea Vergine, che la invita nella grande mostra itinerante da lei curata e dedicata alle artiste del Novecento: L'altra metà dell'avanguardia. Sensibile al ritorno della pittura degli anni '80, Carol Rama torna alla figurazione con racconti visivi che alludono al mito e alle leggende. Donna coltissima, che identifica la cultura con la libertà, Rama preferisce parlare degli amici e delle sue esperienze, piuttosto che di ciò che legge e ascolta (lei, appassionata della musica di Luciano Berio). Nel 1998 Rudy Fuchs, primo direttore del Castello di Rivoli di Torino, e Maria Cristina Mundici la chiamano ad esporre in un’importante mostra antologica allo Stedelijk Museum di Amsterdam e al The Institute of Contemporary Art (ICA) di Boston (USA). Carol Rama si conferma un'artista supercontemporanea, e nel 2003 arriva il Leone d'Oro. Nel 2004 un'ampia antologica presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino, seguita dal Mart di Rovereto e dal Baltic Museum di Gateshead (GB). Seguono altre personali in Europa e anche lo stilista Antonio Marras le tributa una mostra ad Alghero, in Sardegna. Due anni fa, la mostra antologica curata da Marco Vallora al Palazzo Ducale di Genova celebra il novantesimo compleanno dell'artista, che a gennaio di quest'anno riceve il Premio Presidente della Repubblica, su segnalazione dell'Accademia di San Luca di Roma: è il degno coronamento di una carriera longeva, ostinata e sottotraccia, che alla fine si è imposta per la qualità intrinseca di un lavoro artistico portato avanti senza tentennamenti da una delle artiste europee maggiormente significative nel panorama internazionale del Novecento.

Dott.ssa Monica Zioni
Assessore alla Cultura e al Turismo Città di Alassio


Carol Rama. Appassionata.
Nicola Davide Angerame

Le idee che ho le invento soffrendole io stesso, passo passo,
io scrivo soltanto ciò che ho sofferto punto per punto in tutto
il mio corpo, quello che ho scritto l’ho sempre trovato
attraverso tormenti dell’anima e del corpo.


Antonin Artaud

 

La vicenda artistica di Carol Rama è quella di una anti-star, di una outsider che ha percorso e precorso scuole e stili, diventando negli anni Novanta, con grande ritardo sulla storia ma per questo ancora più meritevole, la rappresentate italiana di un’arte nutrita in modo precipuo di sensibilità femminile, di intimismo e personalità.
La critica, da sempre generosa con Carol, riconosce con entusiasmo un lavoro autenticamente autobiografico, sofferto e sincero, a partire dalla grande mostra collettiva curata da Lea Vergine nel 1980, L’altra metà dell’avanguardia, in cui Rama trova una prima decisiva affermazione
in un cammino che durerà oltre settant’anni.
Paragonata, non a torto, ad una decana dell’arte del Novecento come Louise Bourgeois (ma si potrebbero trovare utili punti di contatto pure con Frida Kahlo), l’affermazione di Rama s’intende bene anche guardando in controluce i successi attuali di giovani artiste che hanno attinto alla propria vicenda personale portandone sulla scena dell’arte gli estremi recessi, prima fra tutte una star odierna dell’arte come la Young British Artist, Tracey Emin, o anche un’artista che usa l’erotismo in funzione liberatoria come l’egiziana Ghada Amer.
Carol Rama ha attraversato il Novecento con la sua forza fragile, fulminea e incandescente, registrando un percorso personale che è stato fonte inesauribile per la sua arte, includendo in esso tutto l’arco parentale, le gioie ma soprattutto i dolori, fusi con un erotismo selvaggio e aggraziato, catartico e spavaldo, quasi infantile, che gli è valso buona parte del suo successo.
Si va, così, dalle protesi della zia livornese, disegnate nei primi anni Quaranta con una libertà espressiva unica, alle Dorina, Le parche i ritratti di amici e i Bricolage, come li battezza l’amico poeta ed esegeta Edoardo Sanguineti, fatti di occhi finti e unghie intrappolati nei dipinti degli anni Sessanta; dalle “gomme” degli anni Settanta, dove la materia si fa ricordo paterno, si arriva ai disegni degli anni Ottanta e Novanta, con cui Rama torna alla figura e alle intuizioni degli anni Trenta e Quaranta, con i temi salienti della giovane Carol divenuti cavalli di battaglia: dalle donne mutilate (le Appassionata) ai Pissoir duchampiani; dagli scopini per il water ai Teatrini fatti di protesi ortopediche, fino agli uomini dai molteplici falli, le Corone di Keaton e le Mucca pazza.
Un amarcord che mostra il lato più “debole” di Carol, quella sua impressionabilità che già adolescente le frutta una serie di visioni impensabili per la borghesia dell’epoca, per quella buona società torinese alla quale l’artista pure appartiene e di cui rappresenta il lato pulsionale più radicale. Come Egon Schiele, Carol è impegnata in un costante autoritratto, che passa tramite la costruzione di un grande affresco dedicato al mondo degli affetti, in cui ogni personaggio trova un corpo, un volto e una materia pronti a rappresentarlo. I mutilati di guerra, che Otto Dix oppone al bellicismo che segna la società europea tra le due guerre, sono distanti. Carol è presa da un ambiente che è quello più intimo e personale della propria famiglia. La sua bravura sta nel metterlo in scena con una grazia grottesca che l’avvicina alla sensibilità di un Ferdinand Céline, di un Antonin Artaud o di una Colette: personaggi scandalosi forse perchè scandalizzati essi stessi dalla società a cui appartengono, dal mondo che li offende, dalla vita che li strapazza.
In tutto il suo lavoro, anche quando entra a far parte del MAC di Torino (dipingendo tele di grande sensualità), Carol Rama esalta la presenza sorda e inevitabile del corpo.
La sua arte esprime un martirio del corpo che ha il valore di una catarsi: non denuncia ma annuncia il dolore come realtà definitiva, come dato di fatto incontrovertibile di una esperienza vitale che proprio dalla sofferenzea trae la spinta propulsiva verso l’eros. In un celebre acquerello, una sua Dorina porta al collo due assembramenti di falli maschili che diventano così, dentro lo schema visivo pregno di una bislacca allure liberty, un’affermazione di gioia artaudiana, in cui la vita si fa “teatro della crudeltà”, ovvero scarta il banale e intensifica la vita interiore fino a portare la pittura, il disegno e l’acquerello ad occupare il campo intero di una rappresentazione drammatica, di una narrazione cristallina, che va in profondità a cogliere il senso dell’esistenza come il fare esperienza di quanto siamo irrimediabilmente frammentati, spezzati, lacerati.
Questa mostra presenta l’opera di Carol Rama attraverso una selezione antologica, che vanno dal ritratto di Betty, del 1938, eseguito in uno stile che risente delle dinamiche della scuola di Felice Casorati (frequentato dalla giovane artista) fino ad un recente Ritratto del 2003 (anno del Leone d’Oro alla Carriera della Biennale di Venezia) in cui l’artista si rappresenta con la sua celebre corona di capelli intrecciati, un pezzo di camera d’aria al posto della bocca e sullo sfondo uno dei suoi amati fogli stampati con disegni tecnici industriali utilizzati per la fabbricazione, in questo caso, di una cartucciera per pallottole d’arma da fuoco.
Una scelta probabilmente non casuale, quella di un’artista esplosiva, scandalosa e radicale come Carol Rama.
Le opere in mostra espongono le trasformazioni, anche profonde, che l’arte di Rama subisce nei decenni, come quelle svolte ricche di ulteriori magie che sono i suoi Bricolage su cui la pittura intrappola la materia, anche questa di provenienza “domestica”, legata alla conduzione materna di un laboratorio di pellicceria e che fornirà a Carol occhi, unghie, pelli da porre in composizioni surreali, tempestose, angoscianti e
divertenti al tempo stesso.
Spesso si tratta di cumuli di occhi su macchie di “umori” che tendono a mimare la consistenza e la “forma” di liquidi corporei, almeno nella visione dichiarata dell’artista. Anche le “gomme” degli anni Settanta, di cui alcune celebri qui in mostra (come Spazio anche più che tempo del 1971, o ancora Arsenale e l’auratico I presagi di Birman), nascono negli anni Settanta come assorbimento nell’opera di un materiale “paterno”: le camere d’aria che il padre industriale meccanico torinese lavora nella sua fabbrica di biciclette (prima del fallimento e del suicidio avvenuto nel lontano 1942, che segnano la vita e l’opera di Carol), assumono per Rama la consistenza e il significato della pelle umana, che torna sulla tela in forma di tubi flessi, morbidi, sensuali e mascolini, ma anche in campiture più ordinate di gomme tese sulla tela a creare campi di forza, con una eleganza che contraddice la povertà del materiale. “Mio padre – dirà Rama in un video di Rai Sat - aveva creato un brevetto per una bicicletta da uomo che si poteva trasformare in una da donna.
Così, in quel periodo avevamo molte camere d’aria in casa e io le guardavo come se fossero pezzi di pelle o di carne”.
Gli anni Ottanta presentano un ritorno alla pittura e alla figura che porta a Rama un riconoscimento internazionale grazie alla sua fantasia sbrigliata e irriverente e grazie anche a un disegno capace di porsi come diario intimo che unisce gli estremi indicibili dell’esistenza, la follia e l’eros, la sofferenza del corpo e la catarsi attraverso l’arte. “Per Rama – sostiene Achille Bonito Oliva - l’arte è lo spazio della festa dove non esistono gerarchie tra ciò che si può dire e ciò di cui bisogna tacere”.
La forza del lavoro di Carol Rama, secondo diversi critici, consiste nel suo porsi come via alternativa, nell’uso della materia e dell’oggetto, alla grande scuola dell’Arte Povera che proprio a Torino trova le sue radici storiche.
A differenza dei suoi colleghi, Rama ma non ha mai usato la materia in senso ideologico e programmatico, da cui la netta distinzione dal celebre gruppo guidato da Germano Celant e la conseguente affermazione di una “leggerezza” ideologica che probabilmente spiega in buona parte quel suo essere stata una outsider almeno fino agli anni Ottanta, decennio decisivo per la fine delle ideologie e il successo di un’arte socialmente disimpegnata, neo-manierista ma anche capace di rivolgere attenzione al singolo, alle sue aspirazioni più intime al suo vissuto più turbolento, rendendo conto di una situazione esistenziale che, se non risulta pienamente condivisibile perché troppo personale, è comunque degna di essere esposta come la narrazione letteraria o la messa inscena teatrale di un “personaggio”.
E pochi sono gli artisti capaci di essere anche “personaggi” come Carol Rama, non a caso apprezzata e molto amica dei letterati italiani. Rimasta fuori dal “circo” dell’arte per diverso tempo, Rama viene così “riscoperta” quando la biografia dell’artista torna, dopo le vicissitudini emblematiche di un Rembrandt o di un Van Gogh o di uno Schiele, ad essere partecipe di una ricomposizione del senso dell’arte, della moda deltempo, ma anche dei profondi smottamenti sociali e storici mondiali.
Dopo le grandi divagazioni e gli invaghimenti per gli ultimi “grandi racconti”, per dirla con Lyotard, l’inizio dell’era post-moderna, maturata con la caduta del Muro di Berlino, si profila come una nuova ricerca sul Sé e la formazione di una nuova frontiera di studio intimo che proprio nella sensibilità femminile di artiste come Gina Pane, Marina Abramovic, Cindy Sherman, Orlan, Shirin Neshat e molte altre, trova un panorama di risposte articolato e complesso in cui l’opera di Carol Rama svetta per radicalità e tenacia. “Peccare è una delle cose più belle!” dice Carol.
E se questa può essere definita come il principio della sua pars construens d’artista, la controparte, la pars destruens, è certamente data dall’affermazione che segue: “Ognuno di noi è a pezzi, ... dipende dall’infanzia, dalla famiglia”.
Una verità semplice, cristallina, che malgrado gli sforzi della psicologia moderna resta un principio di base per la vicenda personale di ciascuno di noi. In questa semplicità, quasi commovente, si muove e alimenta l’opera di Carol Rama, artista tesa tra il desiderio e il dolore, tra l’erotismo e il lutto, tra l’affetto e la follia.
In una parola: appassionata.


Informazioni
Lucia Campana, addetta stampa del Comune di Alassio : 347 833 44 69

per immagini e informazioni : lucia.campana@gmail.com, chiesaanglicana@gmail.com
per contattare l'Artista o il curatore Nicola Davide Angerame : 349 877 44 98

 

© Comune di Alassio - All Rights Reserved - E-mail: info@comune.alassio.sv.it